Stavo così bene lí. Al suo fianco. Accoccolata al suo corpo caldo e confortevole, a godere della melodia di musica e dei raggi del sole che illuminavano i nostri volti sereni. Eppure era già ora di scendere. Eravamo arrivati. Ecco l’hotel.

Parcheggia l’auto. Scendo. Prendo la borsa dal baule e me la carico in spalla.
“Ci prendiamo un caffè qui? C’è anche un parco vedo…” mi chiede.
“Ah vuoi prenderlo qui? Ok, d’accordo. Se ce lo fanno…” rispondo.
“Sì, dai perché non dovrebbero…” mi dice.
Entriamo.
La receptionist prende i nostri documenti. Lo vedo agitato, irrequieto.
“C’è qualcosa che non va” penso.
“Ma forse infondo l’ho convinto a rimanere la notte con me se ha lasciato i suoi dati….” mi ripeto speranzosa.
“Ecco, la vostra stanza è la 301”.
La ragazza mi porge le chiavi in mano.
“Questa è la sala per la colazione di domattina!” dice, poi, facendoci strada e mostrandoci una bella stanza apparecchiata elegantemente.
E se ne va lasciandoci soli davanti all’ascensore.
“Appoggio la borsa poi andiamo a prendere il caffè!” Gli dico.
“Certo, ok!” Risponde.
Saliamo sull’ascensore.
Dovevamo arrivare fino al terzo piano. Io soffro terribilmente di claustrofobia ma lì, accanto a lui, sapevo per certo che non avrei avuto il benché minimo timore.
Mi rivolge uno sguardo languido. Sorrido, contraccambio e me lo abbraccio dolcemente lasciandomi cullare dalla pace di quella piccola scatola che ci racchiudeva ed estraniava proteggendoci dal mondo intero. Proteggendoci dalla realtà e dal tempo che presto ci avrebbe nuovamente portati via. Lontani l’uno dall’altra.

Pochi attimi ed eravamo già lì. Davanti alla porta di quella stanza che ci avrebbe visti insieme ancora. Vivi e uniti da emozioni e battiti senza tempo. Senza fine.
Come al solito, la mano mi tremava. Faticavo ad infilare la chiave nella serratura.
“Chissá come sarà la camera…speriamo bene!” sorrido.
Così da ingannare l’attesa e l’imbarazzante momento di panico che mi rendeva impacciata e poco abile ad aprire quella maledetta porta della stanza.
Finalmente ci riesco. Entriamo. Accendo la luce.

“Wow ma che bella! Tutta rossa!” esclamo stupita e al contempo affascinata, posando il borsone sul letto dalla coperta rosso carminio.
Lui si aggira per la stanza scrutando ogni cosa. Dallo specchio al tavolo sottostante.
“Wow c’è anche la TV! possiamo vederci un film stasera!” proclamo briosa lanciandogli furtiva un’occhiata sottile.

“Eh si, infatti!” sorride lui buttando un occhio allo schermo piatto che pendeva sopra al letto e dirigendosi a scrutare il bagno.
Osserva la doccia, il lavandino, gli asciugamani, lo specchio. Poi, eccolo che esce.
“Io sono pronta. Possiamo andare giù a bere il caffè…” affermo.
“Sì, un attimo”. Mi dice.
Si siede sul letto.
“Mi siedo un secondo. Sono troppo stanco…” continua.
Mi siedo anche io accanto a lui.
“Certo, anche io lo sono mamma mia!” confesso passandomi le mani sul capo, del tutto stravolta ed esausta.
Sì sdraia.
“Beh, allora mi sdraio anche io…” dico.

Mi corico al suo fianco. Mi avvicino torpidamente al suo corpo. Appoggio il capo sulla sua spalla.
“Aaaah…il relax!” Esclamo beata.
Mi avvicino al suo petto e, d’un tratto, sento qualcosa. Un ritmo. Un susseguirsi di suoni, un rapido rimbomare. Il suo cuore. Non ci potevo credere.
Il suo cuore che stava battendo veloce al solo sentirmi candidamente prossima alla sua pelle.
Così mi avvicino con l’orecchio al suo petto, poi alzo il capo, lo guardo negli occhi, sorrido e dico: “cavolo hai il cuore che ti batte a mille! Batte fortissimo!”.

Aveva il viso completamente rosso e tremava. Oh sí, tremava dall’emozione. Dall’emozione di avermi accanto a sé.
Si porta le mani sulla testa tirandosi indietro i capelli, sospira forte: “tu sei una bella tentazione. Non va bene!” dice.
Lo osservo.
“Sono tra il bene e il male…” prosegue.
“E io sono il bene ovviamente!” intervengo repentinamente.
“No tu sei il male!” risponde.
“Il male? Io? Ma come? Io non sono il male, sono il bene!” ribatto delusa.
Si siede di scatto. Mi prende la mano e la racchiude nella sua: “vedi tu mi piaci….mi piaci tantissimo. Non puoi nemmeno immaginare quanto, devi credermi. Mi fai proprio impazzire. Ma il punto è che ci piacciamo in modo diverso…” mi dice con quel dannato tono dolce come se mi stesse dicendo qualcosa di buono.
E invece si stava trattando di una vera mazzata in piena regola.
Di un vero e proprio discorso d’addio e c’era ben poca differenza tra dirlo con la sua aria innocente e bambina e sputarlo con veemenza ed arroganza come aveva fatto quell’infame che non voleva altro che usarmi e buttarmi nel cesso. Il risultato sarebbe stato sempre lo stesso.

Sbarrai gli occhi e lo guardai. Lo guardai in attesa del resto dello schifo che mi avrebbe gettato addosso .
“Vedi, è un po’ che volevo dirtelo. Non mi ero comportato bene con te ed era giusto parlarti in faccia.” continua. “Il fatto è che c’è tanta attrazione fisica tra me e te ma c’è solo quella. Me lo dice con quei suoi occhi innocenti, con una tale facilità che non so nemmeno come riescano quelle parole spietate e false ad uscirgli dalle sue belle labbra che tanto adoro.
“Non è vero! Il tuo corpo dice altro…il tuo cuore dice altro! Batteva fortissimo…” obietto allora inesorabile.
“Siamo qui a parlare….perché dovrei mentirti?” Dice sbattendo gli occhi nella vana e sciocca speranza che gli creda.
“Il punto è che non ti vedo come la donna giusta al mio fianco…” mi spiazza.
Mentre con il pollice continua ad accarezzarmi delicatamente la mano. Come fosse buono. Come se mi stesse sussurrando parole del tipo “resta al mio fianco, ti amo, voglio te…”.
Era una situazione così assurda da lasciarmi senza fiato.
“Che cosa ho che non va?” gli chiedo, mentre il magone mi assale e un grosso nodo mi stringe la gola soffocandomi il respiro.
“Ma tu non hai nulla che non va! Sei perfetta così come sei! Ma siamo troppo diversi…”.
Risponde poi, proseguendo con quello stupido, infame e bugiardo sermone senza senso. “Diversi? Non mi pare proprio che siamo così diversi e poi gli opposti si attraggono!” controbatto imperterrita e decisa del mio pensiero.
“Ma non ci può essere solo attrazione. E tra noi c’è solo quella. Non abbiamo passioni in comune. Abbiamo un tipo di vita completamente diverso” insiste lui, irritandomi sempre di più.
“Per esempio? quali sarebbero queste abitudini così diverse? Fammi capire…” domando agitata.
“Ma tante cose…come il fatto che non ami la palestra o la tua alimentazione…” risponde.
Sbarro gli occhi: “ma queste sono cazzate! Cioè il problema è quello che io mangio?” sorrido mordace e terribilmente raccapricciata squotendo il capo in segno di disappunto.
“Ma non devi cambiare tu! È una cosa a pelle. Che uno la sente. E io sento che non potrei vederti come la donna al mio fianco…”
Scosso ancora la testa indignata: “Ma non mi conosci!” grido.
“Sì che ti conosco. Un po’ ho capito come sei” replica.
“No che non mi conosci! Non mi conosci per niente…non sei mai uscito con me. Non abbiamo mai fatto cose normali! E poi tra noi c’è il 96% di affinità!” gli sputo addosso nervosa.
“Addirittura?” domanda.
“Si addirittura.” Rispondo.
“Oddio scusa, ti ho illussa di nuovo! é stata colpa mia. Non dovevo aggiungerti. Non dovevo venire qui!” esclama.
“No non mi hai illusa. Sei stato fin troppo freddo con me. E hai fatto bene a venire ti ho scritto io…ma come facevo a non dirtelo che sarei venuta qui?” Abbasso gli occhi triste e avvilita. Senza speranza.
“E io a non venire…” risponde di getto contraddicendosi.
“Onestamente mi aspettavo molto peggio…” mormoro avvilita.
“Peggio di così?” domanda stupito.
“Sì. Credevo che non ti avrei nemmeno più ribaciato…” rispondo.
“Volevo tu capissi…” conclude.
“È che….no niente lasciamo stare.” mi fermo. “No dimmi. Stiamo parlando…” Risponde.
“Che cosa vuoi che dica? Mi hai detto così e io devo accettarlo. Non posso dire altro.” Gli rispondo, allora, completamente arresa e sconsolata.
“È che io non sono come te. Io cerco emozioni forti. Se uno non mi piace fino in fondo, io non lo riesco nemmeno a baciare! io non ho mezze misure: o qualcosa é forte o niente!” mi sfogo.
“Non sei la persona giusta per me ma lo sarai per qualcun altro”.
Eccola la coltellata finale. L’ultimo colpo letale. Aveva vinto.
Senza nemmeno rendermene conto, sentii le lacrime scivolarmi lungo il viso.
“Non è vero. Mi dicono tutti la stessa cosa che hai detto tu.” Singhiozzo. “Mi dispiace solo di non riuscire ad arrivare mai…” concludo mentre il pianto mi aveva completamente vinta e disintegrata.
“Nooo. Vieni qui. Vieni in braccio.” Mi fa segno di sedermi sulle sue gambe.

E io? Beh, ovviamente, mi alzo e come una perfetta idiota, mi tuffo goffamente sulle sue ginocchia. Sulle gambe di chi mi aveva appena uccisa, schiacciata, sbriciolata in mille pezzi senza pietà alcuna. Ed è incredibile come la stessa persona in grado di distruggerci, sia esattamente la stessa in grado di poterci altresí consolare e darci il conforto di cui abbiamo bisogno per respirare ancora.

Mi abbraccia. E mentre le sue braccia mi cingono la schiena facendo aderire perfettamente il mio volto al suo petto, la sua mano mi accarezza il sedere in modo del tutto ambiguo e decisamente sensuale. “Stai bene? Sí. Stai bene.” Fa una breve pausa.
Mi osserva singhiozzare come una bambina abbandonata e conclude: “circa…”. Sospira.

“Non possiamo stare insieme ma possiamo essere amici!” dice, poi, per cercare di calmarmi. In realtà, non stava facendo altro che peggiorare la situazione parola dopo parola. Forse, per giunta, nemmeno rendendosene conto.
Alzo il capo dal suo petto: “Non può esserci amicizia se c’è attrazione!” rispondo di getto esterrefatta.
“Si hai ragione, questo infatti è un bel problema!” Sospira.
Guarda l’orologio. “Sono già le 4 cavolo è tardi devo andare a lavoro!” Mi sollevo dalle sue gambe e mi alzo in piedi.