Capitolo 1
Le stagioni della vita alternavano lunghi e dubbiosi inverni a primaverili consapevolezze. La pioggia aveva attraversato, copiosa, il malessere interiore di una strana malinconia. Un disagio profondo che implodeva di cinismo, tuonava di rabbia, minacciava tempesta nel mare di solitudine di un’infinita tristezza. Un’insofferenza che sembrava annegare nel male di vivere di una totale e alienante rassegnazione.
Adua osservava le nuvole. Le scrutava accarezzandole con lo sguardo puerile di chi, affascinato dal candore metaforico di un cielo sovrannaturale, si perdeva nelle estati di un’ infanzia assopita nella felicità di un tempo senza ritorno. Un piccolo mondo antico invocato con la forza interiore dei ricordi, con l’amore incondizionato di un’età che prometteva futuro, amore, felicità.
“Stai annegando in un passato che non c’è”.
Adua declutì un sussulto di spasmodico risveglio alla realtà. Si voltò epiletticamente fino a raggiungere la sagoma ombrosa e confusa del suo sfrontato interlocutore. Di fronte a lei lo stupore si fondeva al senso estetico del sublime attraverso le sensuali fattezze mediterranee di un giovane e spavaldo uomo. Un uomo che, forte della propria avvenenza, ostentava davanti a lei un superomismo disarmante e fiero. Adua cercò di dissimulare lo stupore per quella visione inattesa, insperata e incongruente con le atmosfere interiori dei suoi malesseri quotidiani. Tuttavia non riuscì a eludere l’imbarazzo che dipingeva di un rosso scarlatto quelle sue gote scolpite da zigomi alti e spigolosi, come i muri che lei aveva innalzato contro il mondo intero, per circoscrivere la sua inviolabile zona di comfort.
“Lascio i sermoni al bigottismo della gente comune – rispose Adua con fare scontroso; ai veggenti tuttologi che, come te, pensano di conoscere il mondo, la vita, la sociologia di un universo che va a rotoli insieme al conformismo e al perbenismo di massa”.
Lo sguardo del giovane si oscurò per qualche istante. Giusto il tempo di attutire il colpo di una risposta inattesa, dura, spietata; forse irriverente. L’atmosfera si era fatta tesa, come il clima pungente di quella strana mattina di primavera che rischiava di trasformarsi in tempesta o in fulminea attrazione di corpi vicini e distanti, di anime vere e ribelli, di spiriti inquieti e sconosciuti che si ostinavano a urlare l’anonimato di una solitudine in cerca di calore, di ascolto e di umanità. Lo sconosciuto, forte dell’orgoglio ferito dalle insinuazioni che la ragazza gli aveva appena cucito addosso, con gli stessi luoghi comuni dei marchi di fabbrica di una generalità che sembrava non fare economia di nulla, neanche delle eccezioni che confermano la regola, si preparava a rincarare la dose dell’affronto appena subito.
Ma Adua lo anticipò nel tempo e nelle modalità, attraverso l’impeto della sua innata e cruda indifferenza. Lo fulminò con il suo sguardo felino, acceso di una sofferenza antica quanto l’inquietudine che trapelava dai suoi occhi rinvigoriti dalla passione e si dileguò, impassibile, tra l’anonima bruma dai grigi bagliori di un’ invernale mattina di maggio.